Il fato con me ha giocato – Capitolo VIII

CAPITOLO VIII

Un soffio di vento, un soffio d’amore

Arrivò di nuovo l’estate. Era passato poco più di un anno dalla morte della mamma e quante nuove tristezze mi erano capitate! Con lei avevo perso tutto: mio padre, una famiglia; più niente mi era rimasto. Mi sentivo demoralizzato e la mia vita sembrava senza scopo.

Così, senza una meta, camminavo per buona parte della giornata. Ritornai al mare ove sentivo rifiorire il fascino della mia adolescenza ed il ricordo dei giorni felici con mia madre. Conobbi un ragazzo della mia età di nome Franco e diventammo subito amici. Un giorno che mi trovavo in sua compagnia, lungo il litorale, accadde qualcosa di importante che mutò il corso del mio amaro destino. Eravamo seduti sulla spalletta di una terrazza quando mi apparve davanti una ragazza bionda, alta, molto piacente. Il cuore cominciò a palpitare più in fretta e vi sembrerà impossibile, ma ebbi la sensazione di amarla come se l’avessi conosciuta da sempre. Decidemmo di seguirla anche se, essendo in due, sapevo che non avremmo concluso niente. Credo che lei si accorse subito di essere seguita ma con sua indifferenza non lo faceva capire. Così camminammo tanto sotto il sole inutilmente poiché ad un tratto salì in automobile e scomparve. Ritornando sui nostri passi, avevo la sensazione che l’avrei rivista, ne ero sicuro perché sentivo che era entrata nel mio cuore come una folata di vento, d ‘amore.

Ora vi scriverò due poesie che in quella circostanza le dedicai:

 

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Lui per noi

 

“Angela, compagna della mia vita,

soffio d’una brezza

che allieta la mia esistenza di sofferenza.

Tu, col tuo caldo corpo,

sai darmi ristoro e portarmi fuori del tempo.

Angela, sei bella, sei cara. Tu donna,

sai cambiarti in amante, moglie e mamma.

Come potrò restituirti tutta questa grazia?

Io che sono povero e nude ho le mie mani che posso darti?

Solo tre cose: ricchezza d’amore, al cielo innalzarti e con te morire.

Perdonami se altro non possa darti!

Angela, Dio ci guarda! LUI ci ha uniti.

Non sarebbe giusto deludere

chi PER NOI d’amor si vestì.”

 

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Morire di te

 

“Le ore che ci separano mai passano

e quando l’ora amica a te m’avvicina,

già rintocca l’ora d’andar via.

Come scende la sera così il mio volto s ‘annebbia

e porto via con me l’immagine di te.

Taccion le labbra che prima sussurravan

tu sei dentro alla mia anima,

son distaccate e non sentono più il calore del tuo amore,

ma non disperarti, quei tuoi baci in me son rimasti.

Ho le mani tremanti ma non è il freddo,

è perché sto lasciandoti,

ognuno di noi ritorna sui suoi passi.

La notte muore e un nuovo giorno risorge,

ma l’amore che ti do né muore né risorge,

vivrà ora e sempre.”

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Il giorno seguente, col sole sempre più opprimente, ci recammo di nuovo al mare e mentre parlavamo, io guardavo fisso verso il punto ove l’avevo vista per la prima volta. I minuti e le ore passavano ma lei ancora non si vedeva. Mi ero quasi rassegnato a perderla prima ancora di averla conosciuta quando, lasciato Franco, mi incamminai lungo mare verso quel punto e finalmente la intravidi seduta sulla spalletta, rivolta verso il mare.

In un baleno la tristezza che mi aveva pervaso scomparve. Però adesso non sapevo più cosa fare e soprattutto come avvicinarla. Indossava un paio di pantaloni bianchi ed una camicetta dello stesso colore e stava ascoltando la radiolina che teneva vicino all’orecchio.

Non chiedetemi come riuscii ad avvicinarla, visto che ero molto timido, ma il desiderio era più forte della mia timidezza.

Con la scusa di poter ascoltare le canzoni che la radiolina trasmetteva, le incominciai a parlare. I nostri furono i discorsi di due persone che si sono appena conosciute: le solite cose banali. Fatto sta che da quel giorno continuammo a vederci sempre. Il mio amore per lei cresceva ogni giorno e la felicità aumentò ancora di più perché anche Angela (così si chiamava) contraccambiava il mio. Anche a lei era accaduto qualcosa di strano. Eravamo come due persone che si erano sempre cercate e sempre amate.

A volte, pure adesso, non credo alla fortuna che ho avuto. Era arrivata per me una donna vera, quella che avevo sempre sognato nei miei sogni impossibili.

Una sua rivelazione momentaneamente mi fece precipitare sul fondo. Angela era una donna sposata ma aggiunse qualcosa riguardo al suo matrimonio che quelle parole ml fecero comprendere che non avrei tolto niente a quell’uomo che non conoscevo e che non aveva fatto nulla per meritarsi quella donna che era ed è come un Angelo.

Questi furono i primi giorni del nostro amore e da allora non ci siamo più lasciati. Abbiamo dovuto lottare contro tutto e tutti per arrivare alla tranquillità di oggi ed il nostro amore è passato sopra qualsiasi ostacolo: le chiacchiere della gente, l’opposizione della mia famiglia, la povertà, con la fiducia e la certezza che, uniti, avremmo superato tutto.

La notizia dei miei rapporti con Angela giunse alle orecchie di mio padre che si dimostrò contrario a che io frequentassi una donna sposata.

Ancora una volta vi scriverò una delle tante poesie che a lei ho dedicato:

 

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Il sorriso del mio amore

 

“I1 sorriso del mio amore

è soave, dolce, e dà pace al mio dolore.

Il cielo è coperto ma il sorriso tuo

ha riacceso il sereno;

la notte buia il tuo sorriso la illumina.

Fra mille non ti confondo,

il tuo sorriso io riconosco.

Il vento gioca col tuo silenzio,

strappandoti dalle labbra sorriso sincero.

Se nei miei pensieri sono immerso

c’è il tuo sorriso che rianima il mio spirito.

Il sorriso del mio amore

ha spezzato ogni mio dolore,

spalancandomi le porte di tanta gioia.”

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Disse che non avrebbe potuto darmi nulla. Quanto si sbagliava! Con Angela ero felice ed avevo ritrovato fiducia in me stesso. Quando le stavo vicino dimenticavo ogni sofferenza che però riprendeva quando rientravo in casa ove c’era un’atmosfera elettrizzante che a farla divampare era sempre Alba, con le più assurde parole. Così non mangiavo neanche quel poco che mi davano e molto spesso scendevo giù al bar per consumare un cappuccino con delle paste per poi andare dalla mia donna che sapevo mi aspettava.

Rientravo a casa molto tardi e la mattina seguente dovevo aspettare che qualcuno mi vestisse. Una mattina, rimasti soli in casa soli, Alba non mi volle vestire, costringendomi a gironzolare per la casa con le sole mutande. Questo fatto si ripeté per altri giorni . Sapeva che da solo non ero in grado di vestirmi e questa era per lei una meschina forma di vendetta.

Allora fu così che il gran desiderio di correre da Angela, anche per rassicurarla dei mancati appuntamenti, imparai, col mio ingegno e la costanza di chi handicappato vuoi raggiungere uno scopo a qualsiasi costo, a vestirmi da solo. Con dei fili e qualche canna mi infilavo i pantaloni tirandoli con uno spago fatto passare attraverso il buco della cerniera, mentre con la bocca tiravo la corda e così veniva su anche la cerniera. Le calze e le scarpe le infilavo con i piedi, la camicia la indossavo con l’aiuto della bocca e così pure provvedevo ad abbottonarla mentre con la canna infilavo la camicia nei pantaloni.

Tutto questo mi costava fatica, sudore e tanta pazienza ma riuscivo a superare tutto al

pensiero che alle ore due c’era i1 mio amore che mi attendeva in piazza Cavour.

Da quel giorno questo fu il lavoro di tutte le mattine e talvolta, per evitare questo inconveniente, mi concavo vestito.

Molte volte ho dovuto litigare con Alba e mentre mi difendevo come meglio potevo, si scagliava su di me come una belva ferita. Mio padre, anziché difendermi, mi teneva fermo dando via libera a lei di malmenarmi. Gettò la mia poca roba per tutto il pavimento della casa, dico poca perché da quando morì la mamma non mi fu comprato più nulla. Inoltre, una mattina, mentre dormivo ancora, senza alcun motivo, mi colpì alla testa con una scarpa.

Ce l’aveva a morte con i miei parenti che pure non le diedero che bene e, quel che più mi rattrista, è che del suo parere divenne anche mio padre. Io, per fortuna, avevo il mio amore che mi confortava e spesse volte mi portava perfino del cibo che consumavo al mare. Quando non era lei a portarmelo era perché andavo a pranzo dalla zia Mara.

Tutti e due messi insieme ne dissero tante sul conto di Angela che se dovessi elencarle tutte ne verrebbe fuori un poema. La trattavano di tutti i titoli, facevano pressione su di me per dissuadermi dal frequentarla che, se c’era una cosa che non dovevo più frequentare, era proprio quella casa divenutami insopportabile e stregata. Quel passo era molto vicino.

Una sera, benché fumassi la pipa con dell’ottimo tabacco profumato, fece una delle sue

solite scenate: spalancò le finestre insultandomi e mentre per mio fratello la cosa non aveva nessuna importanza, per mio padre era giusto che io non fumassi. Certo, il sigaro che fumava lui non la disturbava! Eppure era costituito da tabacco toscano, uno dei più forti e puzzolenti tabacchi.

La mia infelicità me la ricordava ogni istante del giorno. Mi accusò della morte della mamma, lei che era venuta nella mia famiglia ben accolta da tutti e la mamma che molto spesso le faceva dei regali. Con quale gratitudine lei ha ripagato tutti? Non lo scrivo, voi lettori giudicherete. Come quella volta che urlando con tutto il fiato che aveva in gola e battendosi le mani sul petto disse: “tuo padre lavora per me, i suoi soldi sono miei” e tutto questo alla sua presenza che non solo non reagì ma rimase muto come un pesce. Mi domandai perché lavorava per lei e non per me che ho il suo sangue. Ancora una volta invito voi lettori a rispondermi. Da parte mia li ritengo interrogativi presuntuosi, come se lei fosse la figlia e io l’intruso.

Se dentro casa per me viverci era un inferno, fuori da essa avevo il paradiso. Si, vi parlo del vero Angelo mandatomi da mia madre.

 

 

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